Quando si parla di Scozia, di viaggi nel tempo, di guerrieri dal fisico possente e di donne dalla mente analitica e razionale, ormai per me è inevitabile finire col provare una strana nostalgia ed un sentimento di déjà vu che mi riporta a Diana Gabaldon, alle rocce magiche di Craigh Na Dun, a Jamie Fraser e alla testarda Claire. Ho iniziato la lettura di IL BACIO DELL'HIGHLANDER senza aspettarmi nessuno di questi elementi, convinta solo che si trattasse di un romance con tocchi si soprannaturale, ma vi confesso che questi riferimenti mi hanno in qualche modo privato di un pizzico di piacere che, senza, forse avrei avuto la possibilità di cogliere, anche se la Moning li ha utilizzati come mero riferimento, come una citazione di un libro che si ama, in una storia alquanto diversa.
Se Claire Beauchamp si perde vagando sulle colline di Craigh Na Dun, finendo risucchiata nel magico cerchio, risvegliandosi in una Scozia settecentesca in cui si imbatte e poi si innamora di un focoso guerriero in kilt, qui Gwen Cassidy si reca in Scozia in vacanza (con un gruppo di pensionati) determinata a perdere la sua verginità. La sua ossessione per un uomo è in realtà una maschera di un desiderio più profondo, ovvero di un amore solido e sicuro che possa scuoterla e farle superare il ricordo di un'infanzia vissuta alla luce di una famiglia di scienziati troppo presi dai freddi calcoli che dai sentimenti. Claire invece era stata cresciuta senza radici da un famoso zio archeologo ed in qualche modo cullava il desiderio inconscio di mettere radici.
Gwen, vagando per le spettacolari colline della Scozia, nei pressi del lago di Loch Ness, cade da un dirupo nel tentativo di recuperare il suo zaino e finisce in una grotta, dove trova un uomo addormentato, ricoperto da strani simboli. L'uomo che si risveglia si chiama Drustan MacKeltar, bellissimo, sensuale, e fortemente attratto da lei. Sembra realizzare tutti i suoi sogni, se non fosse per un piccolo particolare: sembra decisamente pazzo. Il suo modo di parlare, le sue reazioni davanti al mondo che lo circondano, sembrano rivelare seri disturbi e quando lui comincia a farneticare di essere il signore del Clan MacKeltar e che probabilmente è stato rapito e rinchiuso in quella grotta da misteriosi nemici, nel lontano 1518, Gwen si rende conto di essersi messa nei guai, anche perché l'attrazione per lui non accenna a diminuire.
Costretta a seguirlo fino al cerchio di pietre che secondo Drustan proveranno la veridicità della sua storia, Gwen finisce per lasciarsi coinvolgere in una storia più grande di lei, mettendo in gioco il suo cuore e la sua vita, fino al punto di ritornare indietro nel tempo per impedire che alcune eventi (che porteranno alla morte della famiglia di lui) possano accadere.
La storia infatti si divide in due, con la presenza estranea (o "straniera" lasciatemelo dire) di Drustan nel mondo di Gwen, ovvero nel presente, e quella poi di lei nel passato, interagendo con i vari personaggi e soprattutto cercando di convincere Drustan della veridicità del suo racconto, tutto allo scopo di salvarlo.
Storia piacevole da leggere, molto passionale, con una Moning che gestisce bene il passaggio temporale e gli elementi di sorpresa, ma a guastarmi la lettura di questo romanzo (che avrei amato se non avessi incontrato prima la Gabaldon) sono paradossalmente proprio i costanti riferimenti all'altro volume, che ammetto la Moning cita solo come lontano riferimento, come forse forma di omaggio. Il mio cuore innamorato però non può che sussultare quando si parla di "presenza straniera" di Gwen nel passato, ricordando Claire Beauchamp, oppure quando si cita il cerchio magico, le pietre che possono essere attraversate solo alla vigilia di alcuni eventi naturali (solstizi e simili), i famosi "bagni caldi" a cui Gwen rinuncia e che sono fratelli di quelli di Claire, o l'insinuazione lieve, da parte di Silvan, che Gwen possa essere una spia, il ritorno di lei al presente, incinta di un uomo che crede di aver perso.
Nel complesso la storia è molto diversa, e questo è un merito della Moning, ma quei riferimenti velati mi inducono a pensare ad un'altra penna, alla profondità raggiunta dalla Gabaldon, ad un'addio disperato e straziante, descritto con l'abilità e la profondità di una scrittrice non certo nella media. Quando si pensa al dolore di Claire e Jamie, separati dalla guerra, dal tempo e dal destino, ma indissolubilmente legati dall'amore, che attraversano un limbo di esistenza, continuando ad amarsi, tutto il racconto della Moning appare riduttivo, troppo frettoloso e sbrigativo. Senza conoscere LA STRANIERA, e soprattutto senza amarla come la amo io, il BACIO DELL'HIGHLANDER merita sicuramente la lettura, piacevole ed intensa, da affrontare con cuore leggero e sereno. Mi resta la curiosità di scoprire quest'autrice senza il fantasma della Gabaldon che mi perseguita e sicuramente prima o poi recupererò qualche suo libro senza Scozia, viaggi nel tempo e guerrieri scozzesi. A quel punto potrò farmi un'idea delle sue capacità, senza paragoni e condizionamenti. Al momento la colloco nella mia lista di autrici da rivalutare.
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