domenica 1 aprile 2018

Angelica alla frontiera di Anne e Serge Golon - Vil XIII - Citazioni





Un  uomo complicato sotto una semplicità apparente. E nei meandri di quella mente superiore, Angelica doveva trovare il suo posto. Alla luce accecante, Angelica vedeva la sua età, che faceva di lui un uomo all'apice della sua esistenza, nel pieno possesso della sua forza, delle sue facoltà e della sua esperienza. Era finito, denso, personale, senza incertezze, forgiato dall'avventura, dalla guerra, dalla morte, dalla tortura e dalla passione.


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Lui: era lì, a capo della carovana, il conte Joffrey  de  Peyrac,  grande viaggiatore dei due mondi, l'uomo dal destino drammatico che, dopo aver conosciuto le glorie e tutte le miserie, avanzava, cavaliere oscuro, trascinando dietro di sé, giorno dopo giorno, la sua truppa con una disinvoltura altezzosa che a volte sembrava incosciente, ma che sempre risultava sicura.



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—E se un giorno questi francesi del Nord dovessero scoprire chi siete...chi sono...
 —Non è una cosa che succederà domani. E per allora sarò più forte di una povera colonia abbandonata agli antipodi dal Re di Francia... No, non dovete temere nulla. La mano di Luigi XIV non può estendersi fino a noi. In ogni modo, se osa, potremo lottare contro di lui. L'America è grande e noi siamo liberi.
(Joffrey ed Angelica)



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Tanti giorni, tanti anni ha vissuto senza di lei, con la ferita della sua assenza nel costato. Ora che sono riuniti a volte gli sembra quasi assurdo.



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Quando vi ho presa, eravate una ragazzina nuova. Il nostro cervello e il vostro corpo erano vergini. Mentre adesso, quante impronte al posto della mia! Non siete il frutto del mio amore, come io avevo sognato. Sogno che dall'altra parte era utopia, anche fossimo rimasti insieme. Il tempo è passato ed ora voi siete voi, ovvero una donna nella pienezza della parola, una donna con i suoi segreti, una donna che ha perso l'abitudine di riflettersi nell'altro per conoscersi...Una donna sola..che appartiene solo a se stessa, che si è fatta da sola. Ed è questo che a volte mi allontana da voi.
—Ma... Io vi appartengo —disse lei, timidamente.
 —No... Ancora non del tutto, ma arriverà quel momento.
(Joffrey ad Angelica )



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Tutto andava bene. Peyrac sorrise. Sì, era davvero sua figlia per scelta. Libera, leo lo aveva scelto e non avrebbe mai rinunciato a lui.
(Peyrac guardando Honorine)

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Insieme a lui, Angelica era stata scacciata dal mondo dei credenti e dei giusti; per amore suo, era stata marchiata così giovane, a vent'anni, con il marchio della maledizione, e ora Peyrac scopriva, come in un lampo, che lei si era trasformata nel suo doppio, forse nell'unica creatura al mondo al quale assomigliava.


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Con la sua improvvisa solitudine, stava per cominciare la sua avventura. Erano soli, senza appartenere a nessuna nazione, senza rappresentare nessun re. Quando erano venuti gli irochesi per chiedere la sua alleanza, avrebbero trattato con  Joffrey  de  Peyrac,  como con un monarca che parlava a nome proprio.

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Kuassi-Ba lo aveva seguito dalla condanna fino alle galere e con lui aveva invasi il presidio ed era sparito nel Mediterraneo.



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La terra immobile, che non va da nessuna parte, si addormenta sotto il suo sudario bianco, come una matrigna implacabile e indifferente. Si ritrae, si indurisce, muore. Se ne va, lasciando lì gli uomini, senza nulla. Non c'è niente, né un uccello, né un animale, né una foglia. Tutto è materia inutile: pietre, boschi, neve. Non c'è niente e il male della terra si insinua piano piano nelle vene, corrode la vita, abbatte l'anima. L'aria stessa che si respira di converte nel nemico, spoglio di tutta la vitalità, per via del gelo. Fa tossire e poi morire. E adesso per gli uomini di Peyrac era giunto il suo turno di affrontare tutto quello.



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Joffrey de Peyrac scoppiò a ridere.  —Voi, voi amore mio, siete diversa da tutti, fatta di un'altra materia. Siete un ruscello impetuoso che sgorga con forza per rinfrescare la terra e incantarla. Pazienza, mio ruscello, un giorno camminerete per le valli più tranquille, per incantarle con la vostra seduzione e la vostra bellezza. Pazienza...  io catturerò la vostra pazzia, la velerò per timore che si smarrisca o si perda!

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Era  lui,  quella  notte che l'aveva avvolta nelle pelli e steso lì, ed era lui che se era steso come ultimo per far riposare le sue forze. Dormiva immobile, come se fosse morto, forte e sereno. Aveva trionfato, una volta in più, sulla guerra, la morte e gli elementi e recuperava le forze per affrontare un nuovo giorno. Lo contemplò con passione.

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E si diceva che aveva ancora molto da imparare sulle donne per colpa sua. L'ammirazione e la gelosia si disputavano il suo cuore.


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Angelica rimaneva presente in lui perché, possedendo il suo corpo, non era mai sicuro di possederlo per completo, che non sarebbe sfuggita di nuovo.


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Dopo tutto era  il capo, l'unico capo a bordo, come aveva detto quel giorno. Lui sarebbe stato sempre libero, al di là di tutti gli ostacoli. Non aveva paura né del peccato né dell'inferno.



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La  peccatrice per distrarsi con lei, l'angelo per amarla con una abnegazione inalterabile. Ma la donna eterna scombinava tutti i suoi piani perché per lei non c'era peccato né santità. Lei era Eva.



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—Credi che conoscerà queste allegrie?
—Quali?
—L'amore di cui parli.
—L'amore si merita, figlio mio, e si paga.
(Florimond e Joffrey)



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 Suo padre era l'unico essere davanti al quale alle volte si turbava. E allo stesso tempo non poteva evitare di ammirare, stagliandosi contro lo splendore di un cielo ombrato, nel tramonto nuvoloso, grigio e oro, quell'uomo gigantesco, dalle tempie argentate, con il viso solcato da cicatrici e a volte impressionante  che aveva cercato oltre gli oceani  e che non lo aveva deluso: suo padre.
(Florimond guardando Joffrey)


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 Peyrac,  da parte sua, non ha mai rinnegato se stesso. È rimasto come una roccia nel mezzo di una vita di infamie. Invidio Peyrac e non solo per essere l'uomo di quella donna, ma perché non ha mai rinnegato se stesso — ripeté  Arreboust  con  ostinazione—, sebbene abbia dovuto morire, in nessuna delle tappe della sua esistenza.



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. — Che significa  Kawa,  questo nome che mi danno? — chiese lei.
 — Donna superiore, donna che sta al di sopra delle altre donne! — mormorò il conte — Donna, stella fissa!


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—Incredibile! — esclamò uno dei francesi che aveva fatto amicizia con Jacques Vignot— Che principessa! Non avrei mai sospettato che aveste qui qualcosa di simile!
—Non è una principessa  —rispose il falegname, guardandolo con disprezzo — È una regina!
 Girò loi sguardo verso Angelica che stava andando loro incontro con una mano sul pugno di Joffrey de Payrac  — La nostra Regina!  — sussurrò —La regina del lago d'argento!


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 Quel letto era stata la barca che li aveva portati oltre l'inverno. Li aveva dormito Angelica, così vicina a lui che a volte sentiva il suo respiro sulla sua guancia, il suo profumo che la perseguitavano nei sogni, che la mattina non doveva fare altro che aprire le labbra per sentire il dolce tocco della sua lingua contro la sua. Gesti impercettibili, calore, tenerezza. La sua cura era nata da quel sogno di amanti. Ora, avevano ritrovato il filo di Arianna e riannodato il dialogo interrotto quindi anni prima per i roghi dell'Inquisizione e l'ostracismo prescritto dal Re di Francia.

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