La simbologia della luce e del buio è parte integrante di questo racconto, come la contrapposizione del nero e dei colori. Più volte Miran dichiara di amare Reyyan per i colori che ha portato nella sua vita e per la luce che sta cercando di strapparlo al buio, che è quello in cui una donna, accecata per la perdita del figlio, ha deciso di trascinarlo per vendicarsi. E qui la vendetta emerge in tutta la sua componente violenta, lontana dal concetto di giustizia, destinata, mi auguro, ad essere sconfitta dal potere dell'amore.
Reyyan ha sostenuto Miran nella scoperta dell'altra nonna, quella più vicina alla verità, e quando Azize reagisce violentemente alla sua presenza nella casa, cercando di insinuare le sue bugie per confondere Miran come fa di solito, Reyyan è lì solida come una roccia alla quale aggrapparsi per permettergli di non affogare. Miran, dopo le tempeste attraversate, sembra leggermente più pronto a combattere e questo gli permette di ordinare a Mamma Esme di preparare una camera per l'anziana donna, che con la sua presenza lo rasserena, parlandogli di una madre che lui ha sempre cercato di recuperare.
La luce, il debole raggio di sole, che arriva a dargli pace è proprio Reyyan, che, finalmente, dichiara di non voler più dormire sulla poltrona, ma di voler cominciare a dividere il letto con lui, anche se poco dopo spiegherà di avere ancora mille paure e turbamenti, dopo la notte di nozze. Il marito la rassicura, dicendole che mai le chiederà cose che non sia disposta a dargli, inoltre è al settimo cielo anche solo al pensiero di poter semplicemente dormire con lei. La poltrona fatta cadere nel patio dal balcone di sopra simboleggia tutta la frustrazione di quelle notti che lui ha trascorso sul pavimento, praticamente ai piedi della moglie, in una sorta di espiazione completa.
Dopo momenti di grande turbamento, finalmente li vediamo abbastanza sereni, almeno quando interagiscono solo tra di loro. E così Miran rivendica e ottiene quel famoso giorno di stacco, che le aveva chiesto quando erano in fuga, lui che l'aveva rapita alla cerimonia dell'henné. Adesso non c'è persona che possa strappare Reyyan dal suo fianco e finalmente i due parlano dei loro sentimenti, delle loro speranze per il futuro, dei sogni di un domani.
Fa quasi tenerezza vedere Miran, sempre oscuro e drammatico, che nei piani della malefica nonna, non dovrebbe sopravvivere alla scoperta di aver ucciso il suo stesso padre, cecare invece di immaginarsi un futuro insieme, che si tiene mano nella mano con una vecchia Reyyan a cui è stato legato tutta la vita.
Peccato che poi, i turbamenti in casa non manchino, come la sfuriata di Azize che, dopo aver ordinato la partenza di Elif da Midyat, cerca di riappropriarsi dei suoi meni, intestati momentaneamente a Firat. Quest'ultimo di oppone a restituirglieli, perché sostiene che lei sia accecata dalla rabbia e che voglia usarli solo per manipolare tutti loro.
L'aggressione del ragazzo viene poi seguita da vere e proprie minacce palesate a Esme, che, stanca della sua violenza, aveva sostenuto il figlio. Alla donna rivela di essere dietro agli attentati a Miran e Reyyan e di essere pronta a tutto pur di vendicarsi di chi la tradisce. Esme si sente male poco dopo, ma al momento Firat tiene duro e non restituisce ad Azize ancora niente.
E a infiammare ancora di più gli anime arriva la partenza di Elif, la timida, sofferente ragazza, soffocata dalla valanga d'odio che fino a questo momento era stata tenuta lontano da lei. Proprio questo clima di rancore e di paura l'ha spinta a spingere Hazar dalle scale. Non sopportando il peso della colpa, chiede di andare via e si lascia accompagnare da Miran e Reyyan. Tutti pensano che stia partendo per l'Europa dove continuerà i suoi studi, ma la sera giunge la notizia che la ragazza si trova a casa degli Şadoğlu.
Azize, terrorizzata e furiosa, corre insieme a Miran, Firat e Reyyan solo per scoprire che Elif si è sposata con Azat ed è diventata a tutti gli effetti una Şadoğlu.
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