Ho letto questo libro, LEMONADE, dell'italiana Nina Pennacchi dopo molte reticenze. Non ero pienamente convinta. Per ragioni personali ho una formazione più anglosassone e raramente mi ritrovo a leggere romanzi scritti da mie connazionali e, quando lo faccio, c'è sempre qualcosa che non mi convince pienamente, basti pensare a ROMA 40 D.C., eppure una mia amica che sempre mi consiglia storie che l'hanno colpita, ha insistito più di una volta. "Se non ti è completamente dispiaciuta SCHIAVA PER VENDETTA, LEMONADE fa al caso tuo!" E come al solito aveva ragione.
La storia raccontata dalla Pennacchi inizia come tante altre: un bambino che ha vissuto un trauma (la morte atroce e prematura della madre) che segna la sua vita di adulto, un forte desiderio di vendetta, ed un incontro/scontro con la nostra eroina romantica, molti anni dopo, Anna Champion, in un bucolico paesino del Kent, nel 1826. Anna vive con i fratelli piccoli di cui si prende cura, il padre, malato ed ormai indifesa, e la governante. La fortuna di un tempo è andata, ma la ragazza coltiva una salda amicizia con Lucy, ricca e splendida ereditiera, e un amore segreto per Daniel DeMercy, aristocratico compagno d'infanzia delle due ragazze. L'arrivo a Coxton di Christopher Davenport stravolgerà l'esistenza di Anna fin dal loro turbolento primo incontro.
L'antipatia tra i due divampa al primo sguardo: lui la giudica un'arrampicatrice sociale, lei un bruto ed un arrogante per via di una limonata versata intenzionalmente sul vestito di lei. Da quel momento il destino sembra portarli a scontrasi più volte, fino ad un incontro in biblioteca dove uno scontro di volontà porterà Anna ad umiliarsi e Christopher a perdersi irrimediabilmente per un bacio rubato. La verità è che Davenport è arrivato a Coxton per vendicarsi della morte della madre e ha ordito un elaborato piano per mandare in rovina Leopold DeMercy, il padre di Daniel. Convinto che quest'ultimo voglia fidanzarsi con la ricca e spigliata Lucy, cerca di attirare la sua attenzione, mentre coltiva la strana antipatia per Anna, fino a quando non gli arriverà la voce del fidanzamento tra il fratellastro con Anna, oggetto del suo astio fino a quel momento. La sua reazione sarà imprevedibile e assoluta, segnando l'esistenza della ragazza e la sua irrimediabilmente.
La bellezza di questo romanzo, che mi ha preso come non immaginavo, sta tutta nella capacità di scrittura della Pennacchi, che obbiettivamente ha molto della'autrice di SCHIAVA PER VENDETTA, senza aver raggiunto gli estremi poco digeribili di quest'ultimo e la fragile motivazione dell'eroe/antagonista. Scrittura intensa, acuta, intelligente e attenta, la verità è che la Pennacchi è riuscita con abilità ad entrare nella mente di Davenport, presentandoci l'abisso che la tragica morte della madre ha aperto dentro di lui, come i primi turbolenti anni nel postribolo dove è stato cresciuto, fino alla fuga. Christopher incolpa di tutto suo padre biologico, ma c'è qualcosa in lui che lo induce a reputarsi infimo e non capace di amare. Il suo sguardo negativo sul mondo emerge spesso anche nelle sue riflessioni su Anna, che cerca di sminuire continuamente: brutta, scialba, insignificante, stupida. Sono tutti pensieri che gli attraversano la mente, quando pensa a lei, eppure oltre la razionalità sente un legame sempre più saldo che lo lega a lei, tanto da arrivare a trascinarla nel suo mondo oscuro pur di non perderla.
Certo descriverlo come un romanzo d'amore appare difficile alla luce di quello che succede tra di loro, di tutto quello che le fa, ma la cosa incredibile e a mio parere la bravura dell'autrice è quello di aprirci uno squarcio sull'interiorità di Christopher, tanto che si capisce che lui la ama, anche se di un amore malato e sicuramente non sano. La strada per il riscatto sarà lunga e travagliata e permetterà al protagonista di rendersi conto di non essere in grado di fare del male a chiunque, come lui ipotizzava. Basti pensare al suo rapporto con il fratello di Anna, che si affeziona a lui sinceramente. Pur minacciando di rovinarlo, sul finale Christopher capirà di non poterlo fare.
Certo mi resta innegabilmente l'amaro in bocca per un finale che lascia molto in sospeso. La mancata vendetta non può darci un trionfante Leopold che si sottrae abilmente alla rete tessuta dal figlio fin dal principio. Certo la vera vittoria sarà quella di Christopher che si rende conto di non riuscire ad essere fino in fondo la creatura oscura che pensava di essere e da qui la redenzione e la dichiarazione, con il ritorno da Anna e la richiesta di perdono, con l'assunzione di colpa. Ma possibile, mi chiedo, che DeMercy, creatura rozza ed oscura, squallida e tristemente banale nella sua malvagità possa rimanere impunita? E la bella Lucy a chi aprirà il suo cuore? Al deluso Daniel o al simpatico cugino di Christopher? Ovviamente si attende il seguito, ma nulla, a mio avviso, potrebbe rivaleggiare con questo.
VOTO: 8
CITAZIONI DAL ROMANZO
E l’odio, quando non è ricambiato, fa soffrire quanto l’amore, è inevitabile.
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Ripensò a sua madre, che non era stata seconda, ma millesima, milionesima, ennesima. Sua madre – quel povero zero nella somma del mondo.
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Quando il tempo fa il suo mestiere, pensò Christopher, agli uomini non resta che vederne appassire i frutti.
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Vostro padre mi ha nominato tutore dei vostri fratelli, e dei suoi beni.» Non suonava neppure male, no? Forse si stava preoccupando per niente. Anna l’avrebbe presa benissimo. Benino, almeno. Maluccio, in verità.
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Christopher non rispose subito. Era stato preso di sorpresa, quell’uomo che sapeva sempre cosa fare in guerra, e che poi era così impacciato in pace.
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Il rimorso è come vedere il cielo ed essere all’inferno. (Edward George Bulwer Lytton)
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Quell’uomo, che era sempre stato acuto e robusto, ora faticava a camminare, a parlare perfino – proprio lui che, quando era bambina, la sollevava come fosse un fuscello e, mettendola di traverso sulle proprie spalle, la faceva roteare senza sforzo, mentre lei, con gli occhi chiusi, apriva le braccia e sognava di volare.
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Sai cosa si dice dei volti nuovi: che nascondono vecchi inganni.
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Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo venir cacciati. (Jean Paul Richter).
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