sabato 12 marzo 2016

LA ESCLAVA BLANCA - IL SUPPLIZIO E LA TIRANNIA (Cap. 30)



Felipe lo aveva detto, anche se Miguel da eroe romantico qual'è non lo aveva creduto nel profondo. Dentro di lui la consapevolezza che Nicolás è suo padre, aveva in qualche modo messo radici e fatto germogliare la strana idea che una forma di amore tra loro potesse esistere. Questa sua convinzione lo aveva anche portato a diffidare del racconto di Victoria sulla ferocia con la quale si era sbarazzato dei suoi nemici. Eppure Felipe, da scaltro osservatore, lo aveva sottolineato.



"Tu sei per lui una proprietà, e tutto quello che fa per difenderti, ha il solo scopo di proteggere quello che è suo!" gli aveva detto. Ed eccoci al punto di demarcazione della storia, dove il tiranno, malgrado i momenti di apparente umanità, finisce per emergere e dominare un personaggio dalle mille ombre come Parreño.


I soldi raccolti dagli schiavi, liberi o ancora in catene, dai simpatizzanti della causa, vengono portati al EDEN dalla donna che un tempo era proprietà dei Parreño, accompagnata dall'intrepido avvocato. L'uomo viene accolto da Victoria e da Isabelita, ma quando rivela la ragione della sua presenza, la furia di Nicolás è incontenibile.


L'uomo ritiene (non proprio a torto, bisogna concederglielo) che Miguel sia diventato un simbolo e che permettergli di ottenere la libertà significa alimentare le speranze di tutti quelli che ormai lo riconoscono come il leader della loro causa. L'unico modo per mettere un freno è la violenza, feroce e terribile, che deve abbattersi su di lui, ricordando non solo al ragazzo, ma a tutti i suoi schiavi, che non sono che oggetti di sua proprietà.


Ed eccoci ad un'altra scena madre di questo episodio duro, ma intenso, ovvero quello del riconoscimento dei loro legami di sangue, davanti a bianchi e schiavi che apprendono la ragione di quello strano trattamento riservato da sempre a Miguel.


"Siete solo delle cose che mi appartengono e non c'è differenza tra di voi, neanche in uno che ha il mio stesso sangue!" La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno, colpendo non solo gli stupiti amici di Miguel, ma anche la vecchia Adela, che inorridita scopre di avere un nipote nero. L'unica che accoglie a braccia aperte e cuore privo di pregiudizi la notizia è Isabelita, ma poco può contro la violenza del padre tiranno.


L'uomo ordina una feroce punizione nei confronti di Miguel: la flagellazione davanti a tutti i presenti e poi il "ceppo" dove viene lasciato in supplizio, senza acqua né cibo. E l'abile regia ci racconta del dolore di chi lo ama, della sofferenza di chi lo ammira, del senso di colpa dei suoi amici che non hanno trovato la forza di protestare.


Eppure la punizione esemplare sembra avere quasi un effetto contrario, in quanto il pacifico Tomás, l'uomo contrario allo scontro, propenso al dialogo, affronta il giovane Trinidad e afferma che la ribellione è l'unica soluzione contro la tirannia, perché quando i buoni tacciono, i malvagi dominano e dettano le regole.


Dal punto di vista romantico, quest'episodio ha dato spazio a pochi momenti memorabili, tranne uno scambio di sguardi tra Miguel e Victoria che parlava più di mille parole, la sofferenza silenziosa di lei durante il supplizio del suo amore, l'esplosione di rabbia (espressa benissimo da Nerea Camacho) che la porta a schierarsi contro il marito-nemico. Ed intanto Isabelita che sente il richiamo del cuore più che quello della pelle e della razza, corre al lato del fratello per assisterlo contro il padre e la nonna, fedele solo ai suoi sentimenti. Episodio come al solito emozionante.


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