Dopo la visione del secondo episodio di Hercai devo ammettere che in questa storia c'è qualcosa di particolare che affascina lo spettatore occidentale, un misto di favoloso e di esotico che allo stesso tempo ci immerge in tematiche ancestrali che muovono gli esseri umani da tempo immemore: la vendetta, la famiglia, i legami. E una spettatrice, dopo questo nuovo capitolo, si trova lacerata dal bisogno di colpire con un ceffone e allo stesso tempo stringere in un abbraccio il nostro tormentato eroe, Miran, il leone, il cucciolo ferito cresciuto nell'odio, che però conserva ancora qualche barlume di umanità, pur taciuta.
Il matrimonio tra lui e la povera Reyyan, la vittima sacrificale dell'odio degli Aslanbey, è tutto un gioco di tradizione e di riti, fastosi, colorati, intensi che avvolgono Miran, che cerca di mantenere l'obiettivo a fuoco, pur sbandando per la prima volta nel corso della sua vita. A ben ragione la moglie (quella vera o quasi visto che il loro è un matrimonio al momento solo sulla carta) non ha avuto torto ad essere preda di una gelosia sincera e furiosa, al punto da far smuovere Azize, la matriarca, che sta covando da anni la sua vendetta, alimentando il cuore del giovane di odio verso la famiglia Şadoğlu.
La mano di Miran ha davvero tremato quando ha allacciato il braccialetto alla caviglia di Reyyan e i suoi occhi si accendono di una strana luce quando la vedono, anche durante il matrimonio che lui subisce con insofferenza. Ed ecco quindi la terribile Azize che arriva per regalargli l'anello della madre, ancora sporco di sangue, in una scena molto shakespeariana dove incita il ragazzo a non avere pietà nei confronti del nemico, facendogli vivere i momenti terribili dello stupro della madre e della morte del padre. "Spegni il tuo cuore e fai quel che devi!" in sintesi gli ordina.
E Miran va alle nozze come un guerriero che scende in guerra, armato, deciso, pur vacillando di fronte alla tenerezza di Reyyan, al suo sincero entusiasmo. E poi, proprio come un dramma shakespeariano tutto precipita sul finale.
Azat, il cugino di Reyyan, da sempre innamorato di lei, anche se respinto, si precipita ubriaco alla festa, armato, deciso a liberare la cugina del giovane marito. In una colluttazione violenta, parte un colpo che colpisce la piccola Gul, ferma sul ciglio della strada, con il suo palloncino rosso.
Reyyan non ha il tempo di capire l'enormità della tragedia perché il padre e lo zio la spingono ad andare via in macchina con il neomarito, turbatissimo dallo scontro con Azat. Mentre loro vanno via, verso l'albergo dove dovrebbero trascorrere la prima notte (o l'ultima secondo la concezione di vendetta di Azize), alle loro spalle tutto è tragedia e sangue. La povera Gul viene portata in ospedale dove si dispera di poterla salvare.
Intanto la notte scende sui neo sposi la cui macchina si ferma lungo la strada. I due camminano per ore prima di trovare rifugio in una capanna in mezzo a una landa desolata ed è qui che Miran compie la sua vendetta, prendendo "l'onore" della giovane e finta sposa, senza che lei ne sia consapevole. Detto così però non si trasmette tutta la tensione emotiva tra i due: il timore di lei, l'attrazione innegabile, il cuore combattuto di lui, la consapevolezza che, quando la notte finirà, lui dovrà spezzarle il cuore.
E proprio come un rito, la mattina dopo, Miran rivelerà a Reyyan che si è trattato tutto di un inganno, che quella che lei credeva una favola è finita, e che tra loro non esiste niente, nessun legame, abbandonandola al disonore e alla disperazione. Lei piange e giura vendetta, che gli restituirà tutto il male che ha ricevuto, ma intanto appare fragile, disperata, mentre Reyyan continua a imporsi di non girarsi, di non guardarla che è tutto finito, ma i suoi occhi sembrano esprimere tutto il contrario, tanto che il leone alla fine finirà per soccombere alla sua stessa vendetta.
Puntata intensa, drammatica, ma decisamente interessante.
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